di Michael Tracey

25 luglio 2018

dal Sito Web TheSpectator

traduzione di Nicoletta Marino

Versione originale in inglese

Versione in spagnolo

 

 

 

 

 

 

 

Benvenuti nella post eccezionalità americana

 

Adesso che la crisi mediatica, che ha occupato l'attenzione totalmente e esplosiva, sul modo di agire di Donald Trump a Helsinki è un poco diminuita, vale la pena cercare di esaminare esattamente cosa è stato a ispirare la sua frenesia.

 

Praticamente tutto il gruppo della stampa dell'élite e i grandi settori della classe politica, si unirono per denunciare l'attuale presidente non solo come incompetente, ma come un traditore cosciente e attivo.

 

Tenendo presente la qualità interminabile della saga Trump/Russia, è probabile che questo furore torni a risorgere in un prossimo futuro.

 

Allora, qual è la radice di tutto questo?

 

Nel racconto popolare, la apoplessia è stata provocata dal servilismo di Trump verso Vladimir Putin, unito al rifiuto della conclusioni del suo Gruppo di Intelligence sulla presunta "intromissione" russa nelle elezioni del 2016.

 

Fin dove è dato sapere, questa è una cosa certa.

 

Però esiste qualcosa di più radicato con cui Trump alimenta la sua angoscia:

si allontana dalla sceneggiatura tradizionale della eccezionalità americana.

Essa sostiene che i motivi degli Stati Uniti sono sempre puri e amano per la democrazia, che le sue agenzie di spionaggio sono infallibili e che la sua superiorità morale è evidente.

 

Trump evidentemente non crede in nessuna di queste cose e per questo non è un Capo di Stato eletto debitamente, anzi è un sabotatore che la classe politica e i mezzi di comunicazione non potranno tollerare.

 

Trump ha la reputazione di essere un difensore del nazionalsmo frenetico e lo è.

 

Però negli aspetti cruciali, il vigore nazionalista che incarna non è necessariamente lo stesso del mito della "nazione eccezionale" che h aispirato l'autoconcetto della classe politica americana per decadi.

 

Per i soi detrattori dei think tanks e le istiituzioni mediatiche della élite, questo è una eresia.

 

Prima di lanciare la sua campagna presidenziale, Trump pensò molto sul perché "non gli è mai piaciuto" il concetto di eccellenza statunitense, e osservò che ripetendola costantemente come hanno fatto spesso i presidenti,

"si sta insultando il mondo".

Trump, invece, enfatizza una specie di crudo compromesso che sebbene sia pieno di fanfaronate superficialmente patriottiche, rappresenta una svalorizzazione dell'eccezionalità.

 

Nel mito dell'eccellenza, gli Stati Uniti non sono solo une egemonia ma un esempio morale:

una città luminosa sulla cima di una collina.

Nei suoi momenti di trascuratezza, Trump tradisce una parte essenziale dello scetticismo di questa mitologia.

 

Per Trump, non esiste una superiorità essenziale che faccia distinguere necessariamente gli Stati Uniti, per esempio Russia, o che impedisca che i due paesi diventino pari in moralità.

"Abbiamo molti assassini" ha detto Trump a Bill O'Reilly nel febbraio 2017, quando O'Reilly gli fece pressione affinch condannasse Putin.

 

"Cosa crede? Che il nostro paese sia così innocente?"

Forse, più di qualcun altro delgli eccessi retorici di Trump, sono il modo più contundente con il quale ha destabilizzato la coscienza della classe politica e dei mezzi di comunicazione che crebbero con una dieta costante a base di "dogmi dulla eccezionalità" sia nella versione dei conservatori, dei militari, arrogante de "il mio paese giusto o ingiusto" o della versione liberale, buonista e protettrice dell'ordine mondiale.

 

In definitiva, Trump non aderisce a nessuna delle due e questo provoca una certa isteria nelle élites paranoiche per il declino del suo paese.

 

Quindi per Trump, rendere onore a Putin non è una violazione atroce "del sacro onore" degli Stati Uniti. E' solo quello che una persona razionale e con una mentalità affaristica farebbe in presenza di un importante capo straniero.

 

Non essendo soggetto alla "mitologia popolare" dell'eccellenza e invece soggetto alla mitologia della sua abilità nel fare affari, Trump non è amareggiato per le tipiche restrizioni retoriche che limitavano ciò che anche il suo predecessore poteva dire sulla natura del potere americano.

 

Nella conferenza stampa di Helsinki, Trump ha sottolineato letteralmente una equivalenza tra Stati Uniti e Russia sulla rispettiva colpa di malefatte geopoltiche.

"Considero responsabili ambedue i paesi" ha detto Trump rispetto al deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Russia.

 

"Credo che gli Stati Uniti sono stati stupidi. Credo che tutti siamo stati stupidi. Avremmo dovuto avere questo dialogo da molto tmpo, molto tempo, francamente prima che io fossi arrivato alla mia carica.

 

E credo che la colpa sia di tutti".

In una era precedente, il Partito Repubblicano si sia infuriato per il solo suggerirmento che gli Stati Uniti e la Russia potrebberi essere considerati sullo stesso piano morale, però questo è quanto ha fatto il suo portavoce, cioè Trmp.

 

Tuttavia, visto che egi combina questa anti eccezionalità con dei cliché nazionalisti, non gli è riconosciuto apertamente come il rifiuto del dire la verità nuda e cruda come fa .

 

Tutto questo ancora più ironico visto il coro costante del Partito Repubblicano che denuncia Barack Obama, come un debole avatar della egemonia statunitense che disprezzava segretamente il suo paese, come è stato dimostrato dalla sua propensione a viaggiare in lungo e in largo nel mondo facendo un "Giro di Scuse" in cui ha annunciato quanto era pentito per le offese passate degli Stati Uniti.

 

Mitt Romney, il candidato presidenziale che aveva preceduto Trump, ha scritto una autobiografia intitolata "Senza scuse – Temi a favore della grandezza statunitense/No Apology - The Case for American Greatness", e l'argomento si è calcificato rapidamente nella saggezza convenzionale repubblicana.

 

Ignoriamo il fatto che i commenti dispersivi di Obama non hanno avuto l'equivalente di niente messo a confronto con il rifiuto generale del potere statunitense, cosa che i capi repubblicani non avrebbero mai immaginato.

 

Obama non è mai arrivato così lontano come Trump nel compromettere le stesse premesse che costituiscono le fondamenta della cosmovisione di eccellenza.

 

In effetti, il "marco" di Obama si basava su quanto era eccezionale il fatto che qualcuno con un passato come il suo avesse potuto arrivare alle più alte sfere del potere politico.

 

Trump in genere non vende queste illsioni…

 

Curiosamente, una importante figura politica che per molto tempo aveva riconosciuto questo istinto di Trump fu Hillary Clinton.

 

Durante la campagna presidenziale del 2016, la Clinton asserì frequentemente che Trump non aveva dimostrato sufficiente rispetto per il pedigrì eccezionale degli Stati Uniti.

"Se c'è un credo fondamentale che mi ha guidato e ispirato in ogni passo del mio percorso" ha proclamato in un discorso pronunciato nell'agosto del 2016 è questo: "Gli Stati Uniti sono una nazione eccezionale".

La Clinton ha contrastato tutto ciò usando un atteggiamento più cauto di quello dimostrato d Trump che denunciò con il suo pensiero che,

"la eccezionalità statunitense è un insulto per tutto il resto del mondo".

In poche parole, non si era sbagliata…

 

L'accusa che Trump sarebbe stato un pessimo amministratore dell'imperium americano, e l'osservazione che Trump non fosse del tutto d'accordo sul mantram dell'eccezionalità, erano giuste.

 

Però l'attacco fallì politicamente perché Trump fu sempre abile nel dissimulare il suo scetticismo con insinuazioni regolari sulla "grnadezza" statunitense e altre variazioni proprie del gusto nazionalista.

 

La Clinton non fu mai capace di essere un garante di un elevato senso patriottico.

"Continuiamo ad essere la lucente città sulla collina di Reagan" dichiarò in un discorso del 31 agosto in maniera poco convincente.

Al contrario, Trump non vede negli Stati Uniti un insieme di ideali politici eccezionali, ma un insieme di attività commerciali.

 

Il tema della sua campagna non si basava sul fatto che gli Stati Uniti stessero brillando, ma stessero ardendo.

Uno "Stato Profondo" sfrenato che lo rende ogni passo più debole.

 

Egli è ciò che si potrebbe definire un post eccezionale.

 

E man mano che gli Stati Uniti entrano in una fase posto eccezionale, le sue élites non desiderano prendere in considerazione quello che significa.

 

Quando leggete i discorsi preparati, Trump recita gli abituali salmi sull'eccellenza americana che si sono trasformati nel triste requisito di qualsiasi capo di stato americano.

 

Quando però improvvisa spontaneamente, il vero Trump emerge come è avvenuto a Haelsinki.

 

E per le angustiate élites, il "vero Trump" è un impostore, un'imposizione sgradevole del corpo politico che deve stare al servizio di un sinistro tiranno estraneo.

 

Per loro, questa è l'unica spiegazione che ha un senso…

 

Perché al contrario, la sua stessa presenza sulla scena mondiale suggerisce che il progetto statunitense non è così "eccezionale" come ci è stato fatto credere...