di Alejandro Martinez Gallardo

26 Settembre 2018

dal Sito Web PijamaSurf

traduzione di Nicoletta Marino

Versione originale in spagnolo

 

 

 

 

 

 

 

Platone dice che

la nostra tendenza erotica nel mondo

è un riflesso della nostra relazione mentale

con certe divinità del cielo…

 

 

 

In uno dei passaggi più memorabili dell'opera di Platone, Socrate spiega l'origine divina della pazzia (o mania) che è considerata superiore alla prudenza (o moderazione).

 

Anche , l'amore passionale, dice, è superiore all'amore senza eccessi, proprio perché il primo si abbevera dal divino e quindi è,

"la più grande benedizione celeste".

Più avanti, nello stesso dialogo (nel Fedro), Socrate parla di quello che considera il quarto tipo di pazzia (mania o possesso), la più divina di tutte, propria di coloro che avendo visto la bellezza terrena sono trasportati dalla luce dell'immagine verso il raggiungimento della vera bellezza celeste.

 

Questa è una peculiarità dei filosofi, degli amanti e degli artisti, che sono capaci di recuperare “la memoria delle cose sacre” e nella contemplazione stessa della bellezza della ricrescita delle ali dell'anima, la sua natura divina che giace come appagata nella tomba della mondanità.

 

La teoria della reminiscenza di Platone afferma che tutti gli uomini, più o meno, hanno contemplato la verità, lo splendore divino, prima della loro nascita.

 

In gran parte, la filosofia consiste nell'educare l'occhio della mente affinché possa aprirsi di nuovo alla visione delle forme divine.

 

Consci o no, però, di quello che vediamo nella vista immanente più o meno sminuita dalle realtà trascendenti, Platone sostiene che le nostre “visioni prima della nascita” (per dirla così) influiscono sempre sul nostro comportamento, in particolare su quelli che sono i nostri interessi e coloro che ci attraggono.

 

Il nostro eros ha una fonte divina.

 

Socrate ricorda, per esempio, che lui fu un adepto di Zeus e questo essere stato sulla scia felice di Zeus, contemplando forme di bellezza supracelestiali, si traduce sulla Terra in una certa inclinazione e in un magnetismo verso cose simili.

 

Fedro, quindi, probabilmente fu nell'entourage celeste del dio che porta il raggio e adesso ocndivide con Socrate questa specie di banchetto filosofico che è un'ombra del banchetto degli dei.

 

Socrate spiega che il nostro modo di amare e la nostra stessa felicità per incontrare l'amore sono influenzate dal nostro precedente contatto e devozione verso certe divinità.

Coloro che hanno seguito Zeus (Jupiter) desiderano persone magnanime, inclini alla filosofia, e sono soliti avere meno problemi per,

"trovare la natura del loro dio in se stessi”,

...vedono la propria divinità nel mondo e la attribuiscono alla persona amata che in un certo modo divinizzano.

 

Coloro che seguirono Ares (Marte), il dio della guerra,

"quando sono sotto l'influenza dell'amore, quando credono di essere stati ingannati, sono svelti a uccidere e farla finita con la vita del proprio amato e la loro stessa”.

I seguaci di Hera (Giunone) cercano un re o una regina…

E possiamo continuare a dedurre come ogni dio tinge il nostro carattere amoroso.

 

Un seguace di Afrodite ssicuramente si rifocillerà con le dolcezze e le voluttuosità dell'amore; sarà molto sensibile alla bellezza, però forse sarà anche velleitario e interessato al denaro e allo status dell'amato.

 

Evidentemente le nostre antiche relazioni divine determineranno anche i nostri passatempi, la nostra vocazione e i nostri umori, etc…(Il lettore potrebbe aver avvertito che la parte precedente si può leggere come un oroscopo, ed esistono profonde convergenze tra l'astrologia e il platonismo).

 

Oltre al fatto che esiste un complesso dibattito su fino a che punto Platone vedeva gli dei come una classe reale di esseri e non solo come “allegorie decorative sulle Idee” non è banale sottolineare di questa provenienza divina del nostro amore, al punto di cercare di verificare la nostra particolare disposizione per una certa divinità.

 

Come diceva lo psicologo James Hillman, uno deve

"seguire l'immagine", lasciare che l'immagine che ci si presenta – il sogno, la fantasia, l'interesse carico di emozione – si riveli, ci parli nellasua lingua e forse brilli con i fili analogici che la riportino indietro verso il dominio di una divinità.

Sia che abbiamo una vena pagana o che tendiamo a vederla in termini “aechetipici” – ma necessariamente ben disposti veros una esistenza incantata – l'esercizio può riempire la vita di senso e poesia.

 

Dopotutto se esiste una coincidenza significativa in tutte le grandi religioni e i grandi sistemi filosofici dell'antichità, deve essere che l'amore è divino.

 

Come afferma Esiodo, Eros è il protogonos, il primo degli dei, la luce stessa della creazione.

 

E come Diotima, la sacerdotessa dell'amore, fa vedere a Socrate che l'amore è il daimon, lo spirito mediatore, l'angelo che collega il cielo alla terra e che eleva dal individuale al piacere della bellezza universale.

 

In India, Krishna incarna nell'eone della confusione per insegnare che non è necessario l'apparato rituale e il sacrificio esterno.

 

Il delizioso dio dall'incarnato azzurro entra in cucina e ruba il burro e la crema, cammina per i prati indossando piume di pavone reale e foglie di mango, emana scie di profumo nei boschi del Vraj e emette melodie dal suo flauto…le sue amate pastorelle infiammate dall'immagine di Hari abbandonano la vita mondana, lasciano i dolci nel forno, l'acqua che bolle, il chicchiriccio dei loro figli e dei mariti e escono per inseguire il richiamo erotico della divinità.

 

La luce che trasforma, ciò che libera, ciò che raggiunge l'immortalità è proprio questo amore che sentono per l'amato- un amato invincibile – e mentre continuano ad essere innamorate non sono necessari i riti e i dogmi della religione.

 

E ancora più chiaramente lo dice San Giovanni:

Ὁ Θεὸς ἀγάπη ἐστίν - ho Theos agape estin

Forse non dobbiamo prendere tutto ciò con il cinismo, la relatività e il distacco dell'ideologia postmoderna che intacca la nostra cultura. Forse questo è realmente sacro.

 

Forse soltanto questo è reale:

in ciò che amiamo, in ciò in cui riusciamo a apprendere la luminostità trascendente della bellezza, si trova il sentiero che ci conduce a ciò che siamo relamente.

Un sentiero che ci invita a promesse divine.

 

 

 

 

Bibliografia