di Guillermo Caso de los Cobos

15 Gennaio 2021

dal Sito Web TerraeAntiqvae

traduzione di Nicoletta Marino

Versione originale in spagnolo

 

 

 

 

Un insieme degli enigmatici  moai

dell'isola di Pasqua.

 © Andreas Mieth, Uni Kiel

 

 

 

Seguendo la pista della leggendaria Terra Australis, il marinaio olandese Jacob Roggeveen arrivava il 5 aprile del 1722, in una piccola isola in mezzo al Pacifico.

 

Gli esploratori europei la battezzarono con nome di Isola di Pasqua (Rapa Nui), in onore del giorno del loro arrivo, la Pasqua di Resurrezione.

 

Scesi a terra, si trovarono difronte le colossali e enigmatiche sculture, i moai, e anche un piccolo numero di indigeni. A quel tempo l'isola era rimasta senza alberi che causò la sparizione pratiche della civiltà dei Rapa Nui.

 

Quando e come accadde il tracollo dà adito a un altro grande mistero che nell'arco della storia ha visto lo sforzo dei ricercatori.

 

La teoria più affermata è che,

tutto successe all'incirca verso il XVII secolo, dopo una catastrofe ecologica, culturale e demografica.

Però la cronologia di quegli accadimenti è rimasta avvolta nell'ambiguità fino ai giorni nostri.

 

Adesso un nuovo studio a carico del Museo Moesgard di Danimarca e a cui ha partecipato,

  • L'Università Pompeu Fabra

  • L'Autonoma di Barcellona

  • quella del Goethe di Francoforte sul Meno

  • quella di Kiel, in Germania,

...fa luce sulla continuità culturale dei Rapa Nui dopo l'inizio del disboscamento con una minuziosa ricerca sui pigmenti rossi usati dalla civiltà per secoli.

"Ancora non si è stabilito il perchè li utilizzassero. Comunque è chiaro che, nell'Isola di Pasqua, il colore rosso era considerato sacro.

 

Rappresentava il potere spirituale, la forza fisica e la fertilità" afferma Marco Madella, specialista in archeologia ambientale dell'Università Pompeu Fabra che ha participato alla ricerca.

Nonostante la presenza di questo pigmento fosse ben documentata dagli scienziati, la sua origine e il possibile processo di produzione non erano chiari.

 

 

 

 

Piante secche come combustibile

 

I gruppi del Museo Moesgard e della Università di Kiel  avevano già documentato l'esistenza di centinaia di pozzi che contenevano resti di questi pigmenti in vari punti dell'isola.

 

Li hanno datati come appartenenti ai secoli tra il XIII e il XV, dopo l'inizio del disboscamento dell'isola e prima del primo arrivo degli Europei, e fu documentato che la loro finalità era la loro elaborazione e si presumeva che sull'isola si effettuava una produzione su larga scala.

 

Adesso, la nuova ricerca archeologica ha trovato più pozzi in diversi punti di Rapa Nui, quindi Madella afferma che,

"la loro presenza era comunissima sull'isola".

In questo studio, le cui conclusioni sono state pubblicate sulla rivista scientifica The Holocene, il materiale analizzato data le costruzioni appartenenti al secolo tra XV e il XVII.

 

Quindi, la produzione e l'immagazzinamento di pigmenti continuò con un volume considerevola dopo il disboscamento e così le conclusioni supportano la continuità culturale di Rapa Nui invece del suo tracollo.

 

 

L'ecologista dell'Università di Kiel, Andreas Mieth,

documenta alcuni dei pozzi con pigmento

affiorati sulla fenditura fluviale dell'isola di Pasqua

© Hans-Rudolf Bork, Uni Kiel.

 

 

Nonostante non si conosca esattamente la finalità,

"è possibile che fossero utilizzati per dipingere il corpo, perchè la loro consistenza rende facile l'applicazione sulla pelle.

 

Un altro uso potrebbe essere stata la decorazione di immagini di pietra o per dipingere una parte dei moai, dice lo scienziato che afferma che questo sosterrebbe il fatto che ne producessero in abbondanza".

Per la prima volta, questa ricerca ha potuto inoltre conoscere come si producevano i pigmenti nelle costruzioni trovate.

 

Il gruppo di Madella ha analizzato i fitoliti, delle particelle microscopiche di silice opalino (uguale al vetro) che si formano nelle cellule vegetali.

 

Il suo studio mostra che il pigmento rosso si trova di base nell'ossido dell'ematite di ferro che i Rapa Nui produssero in queste costruzioni riscaldando la roccia, che poi era triturata.

 

 

Immagine di una delle lamine con la micromorfologia

del sedimento di Poike (Isola di Pasqua)

dove si può vedere la quantità

di fitoliti di graminacee (rettangolo bianco).

FOTO. Universidad de Kiel.

 

"La prova dell'uso del fuoco per lavorare le pietre di origine vegetale carbonizzato, che si trova in strati dal colore scuro, sta in tutto il pigmento rossiccio che riempie i pozzi" fa notare questo specialista.

Gli abitanti dell'Isola di Pasqua già avevano tagliato gran parte dei loro alberi, quindi il legno era appena presente per l'uso come combustibile.

 

Al suo posto i Rapa Nui utilizzavano grandi quantità di piante secche.

 

I pozzi in cui si utilizzava funzionavano anche come magazzino e alcuni di essi avevano una specie di coperchio per proteggerne il contenuto.

"È possibile che la produzione di pigmenti si concentrasse in determinati momenti dell'anno (per esempio quando le piante che si utilizzavano come combustibile crescevano di più e erano più secche) e poi quanto si produceva si conservava nello stesso posto" afferma Madella.

 

Uno dei buchi riempito con pigmento rosso.

Le fasce scure nello strato

appartengono alle piante carbonizzate.

© Andreas Mieth, Uni Kiel.

 

 

 

 

Continuarono lo stesso a costruire Moai

 

Questa ricerca segue la stessa linea di uno studio che è stato pubblicato sul Journal of Archaeological Science a febbraio dell'anno scorso.

 

In questa occasione, i ricercatori dell'Università di Binghamton e dell'Università Statale di Nueva York si concentrarono sugli ahu, le piattaforme cerimoniali sulle quali poi saranno eretti gli enigmatici Moai.

 

Le conclusioni sono state che i pezzi apparvero prima della loro colonizzazione tra l'inizio del XIV secolo e la metà del XV, si incrementarono rapidamente, e al contrario di quanto si credeva ebbero un ritmo costante di costruzione che continuò dopo il contatto europeo del 1722, molto più tempo dopo di quanto di pensava prima.

 

Pertanto lo studio non aveva prove di un tracollo precedente a quella colonizzazione dell'Isola di Pasqua.

 

Anzi, al contrario, rafforza il fatto che si riallacci alle comunità resilienti che continuarono le loro tradizioni ancestrali nonostante l'impatto con l'arrivo degli Europei.

 

 

 

 

Bibliografia