di Alejandro MartínezGallardo

25 Aprile 2018

dal Sito Web PijamaSurf

traduzione di Nicoletta Marino

Versione originale in spagnolo

 

 

 

 

 

 

 

Stabilire una relazione con l'infinito

fa parte della salute e del significato più profondo

della vita umana.

Jung si dedicò molto a riflettere sulla morte

e comprese, come Platone,

che la vita poteva essere letta a proprio vantaggio

come una preparazione alla morte.

 

 

 

La domanda decisiva pergli uomini è:

sono legato all'infinito o no?

Questo è il criterio della vita.

 

Solo se so che la mancanza di limiti è l'essenziale, non presto interesse a questioni vane e a cose che non hanno significato decisionale…Quando si comprende questo e si sente che uno è in unione, già in questa vita, con l'infinito, i desideri o atteggiamenti cambiano.

 

In ultima analisi, una persona è governata solo dall'essenziale, e se non si possiede questo, la vita è sprecata.

 

Anche la relazione con gli altri uomini è decisiva se in loro si esprime l'infinito.

 

 

 

 

Carl Jung - Ricordi, sogni, pensieri

 

Gli ultimi capitoli dell'autobiografia di Carl G. Jung, Ricordi,sogni, pensieri, sono una costante cascata di gioielli, frutti raffinati dei suoi 80 e più anni pensando e studiando le profondità della psiche.

 

Vi troviamo un capitolo in cui Jung riflette in maniera estesa sulla possibilità della vita dopo la morte.

 

Racconta le sue esperienze, sogni e visioni in relazione con ciò che potrebbe sembrare una dimensione fantasmagorica o spirituale, alla maniera di "un bel racconto sugli spettri" attorno al fuoco:

le storie di nonno Jung, un vecchio contadino svizzero che conversava con gli spettri e con le menti più brillanti ed erudite dell'umanità. 

Sembra che Jung pensi che ci sia qualcosa nella psiche che persiste dopo lamorte del corpo.

 

Ciononostante, insiste che non c'è prova che si possa sostenerescientificamenteche sia così. Esistono fatti psicologici, cioè soggettivi, esperienze di questo tipo che si ripetono tra gli uomini.

 

Determinare se queste sono completamente "reali" in un senso oggettivo che oltrepassa i limiti del campo della scienza e significa fare un'affermazione metafisica, che Jung evita attentamente:

I miti sono le forme più primitive della scienza.

 

Quando parlo di quello che succede dopo la morte, ne parlo con agitazione interne e non posso fare altro che raccontare sogni e miti.

Sebbene non si possa provare l'esistenza della vita dopo la morte in modo oggettivamente soddisfacente, Jung pensava che esistevano prove che,

"la psique (anima) non è sottoposta alle leggi dello spazio e del tempo",

...non solo per molte esperienze di visioni e sogni premonitori che esistono nella storia del pensiero, ma per rigorosi esperimenti come quelli di J. B. Rhine.

 

Se consideriamo che la psiche "in delle occasioni funziona aldilà della legge della casualità" dello spazio e del tempo, questo indica che essa non dipende da questi limiti e quindi la sua esistenza potrebbe non essere vincolata al corpo e al rango della vita umana in questo mondo come sappiamo.

 

La vita dopo la morte, il cielo o il paese dei morti potrebbero essere stati degli stati o regioni dentro la psiche:

"l'inconscio e il "paese dei morti" sono in questo senso dei sinonimi.

E quel mondo, ipotizza Jung, sarà in gran parte come è la nostra mente e ancora di più come è il nostro inconscio:

"Il mondo dove andremo dopo essere morti sarà splendido e terribile, come la divinità e la natura che conosciamo".

Visto che queste nozioni non possono essere provate, non possono nemmeno essere rifiutate.

 

Però, se diamo valore alle esperienze delle persone che le hanno ripetute da tempi immemorabili dobbiamo considerare l'idea e dialogare con il mito che rappresentano, anche se questo è un buco nella apparente solidità della realtà convenzionale stabilita:

"I razionalisti insistono ancora oggi che non esistono esperienze parapsicologiche, quindi con questo si fa crollare la loro ideologia".

Jung fa notare che il razionalismo che caratterizza un certo filone materialista della scienza, tende come la stessa religione ortodossa, a una forma dottrinaria che mette in questione lo spirito della ricerca genuina empirica della realtà.

 

D'altra parte Jung fa notare che la credenza nella vita dopo la morte, è utile per la salute delle persone.

 

E' buono avere "un mito della morte".

 

Se l'uomo crede in questi miti,

o da loro credito almeno in parte o ha molta ragione quanto basta come con crede in essi. Mentre coloro che li negano si confronta con il nulla, il che obbliga l'archetipo a seguire le orme della vita fino alla morte.

 

Ambedue sono nell'incertezza, uno contro i suoi istinti, l'altro secondo i suoi istinti, il che significa una considerevole differenza e vantaggio a favore di questi ultimi.

Apparentemente esiste un istinto di sopravvivenza inconscio che fa sì che l'uomo crei il proseguimento della sua esistenza dopo la morte.

 

Questo non prova che la vita dopo la morte esista, però sì rivela il fatto la credenza ha una sua funzione che sembra stare in equilibrio con la natura.

 

Dalle visioni e sogni e esperienze dei suo pazienti, Jung ha sviluppato l'impressione che la vita terrena ha lo speciale significato di essere un'opportunità unica di aumentare la coscienza non solo della persona ma della collettività che condivide l'inconscio:

Solo qui, nella vita terrena, dove gli estremi si toccano, in genere si può elevare la coscienza. Questa sembra essere la missione metafisica dell'uomo, che senza dubbio si può compiere parzialmente senza mitologia.

 

Il mito è il grado di transizione inevitabile e imprescindibile tra l'inconscio e la conoscenza cosciente.

 

Si dice che l'inconscio sa più della coscienza, però è un sapere di tipo essenziale, un sapere dell'eternità quasi sempre senza relazione con il presente a margine del nostro linguaggio razionale.

 

Solo quando gli diamo l'opportunità di esprimersi, di ampliarsi… penetra nel regno del nostro comprendere e diventa percettibile un nuovo aspetto.

Questo è il grande destino della vita conscia umana.

 

Questo è aprire la porta per far sì che l'eternità si manifesti, far luce in quella profondità senza tempo che giace dentro di noi e integrarla con le nostre esperienze in una retro alimentazione costante tra la nostra coscienza e l'inconscio, tra l'essere umano e la divinità - o quella parte insondabile e ineffabile dell'esistenza che gli uomini hanno chiamato Dio, che però essendo trascendente non si può descrivere, e quindi ogni descrizione o concetto di Dio non è realmente Dio.

 

Il significato ultimo dell'esistenza umana è,

"accendere una luce nelle tenebre del solo essere".

Qualcosa come una seconda cosmogonia.

 

E in ultimo, rimane parlare dell'idea che Jung ha sviluppato a partire dai sogni e dalle visioni in particolare quando morì sua madre.

 

Dopo aver avuto un sogno premonitore in cui gli apparve una figura simile a Wotan e poi ricevere la notizia della more di sua madre, mentre viaggiava in treno iniziò a sentire,

"musica da ballo, risate e chiacchiere allegre come se si stesse celebrando un matrimonio".

E se la morte che ci appare così triste, una separazione con ciò che conosciamo, fosse realmente un allegro matrimonio con ciò che siamo realmente?

"Sotto un altro punto di vista, la morte appare come un allegro successo. Sub specie aeternitatis è un matrimonio, un Mysterium Coniunctionis.

 

L'anima raggiunge, per così dire, la metà che le manca; raggiunge la sua pienezza."